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Torino-INTER 2-2

venerdì 29 agosto 2014

CAMPIONATO 2014/15...SI PARTE !




Anno Uno, si parte. Non da zero perché l'augurio da fare al calcio italiano è che il fondo sia stato toccato e non resti più nulla da scavare nel pozzo in cui è caduta l'industria del pallone che, come il Paese del resto, continua a perdere appeal, competitività, soldi e protagonisti. Non è l'Annozero perché di ripartenze se n'è abusato nell'ultimo quadriennio, schiacciato tra il Triplete dell'Inter di Mourinho (ultimo trofeo internazionale), i fallimenti mondiali di Lippi e Prandelli, il raggio di sole dell'Europeo 2012 che poteva essere l'inizio di un nuovo corso e, invece, si è rivelata una splendida e atroce illusione. Siamo quelli della fotografia dei numeri: i 14° al mondo (ranking Fifa) e i 5° in Europa (Uefa), così distanti dai piani alti da poterci finalmente concentrare sulle cose da fare per non scendere ulteriormente in basso. A costo di andare controcorrente, l'inverno che arriva non potrà che essere migliore dell'estate che l'ha preceduto, vissuta di scandali, polemiche, bilanci in rosso, banane e amenità varie. Tutto sotto gli occhi del mondo che ha assistito con sguardo beffardo a quanto accadeva nell'ormai periferia dell'impero.
Il frutto di un'estate sulle montagne russe è che il calcio italiano si presenta all'Anno Uno con il torneo più equilibrato sulla carta delle ultime stagioni. Merito della Juventus, l'unica ad aver cambiato davvero pelle  e impegnata in una scommessa a rischio calcolato: quanti punti in meno vale il passaggio da Conte ad Allegri? Quanto perderà normalizzandosi dopo il furore-Conte? Partendo dai 102 punti e dai record della passata stagione, il margine potrebbe essere sufficiente, ma il confronto tra il prima e il dopo sarà il tema dominante dei prossimi mesi, un giochino pericoloso cui sarà impossibile per Agnelli-Marotta-Allegri sottrarsi. In ogni caso ci sarà meno Juve di un anno fa e, possibilmente, qualcosa in più da quelle che inseguono e che devono colmare un gap di partenza impossibile (-17 Roma, -24 Napoli, -37 Fiorentina, -42 Inter e -45 Milan).
In generale sarà un Campionato più povero. In estate sono mancati i colpi in ingresso che avevano portato in Italia qualche grosso nome e, aspetto ancor più grave, sono mancate le cessioni pesanti. Chi è partito (Immobile e Balotelli) lo ha fatto a prezzo di saldo. Gli altri presunti top player sono rimasti qui, segnale che a livello internazionale certe quotazioni nostrane si ridimensionano e la miniera dei pezzi monetizzabili sul mercato si sta esaurendo. A occhio, solo Inter, Roma e Lazio - tra le squadre di vertice - si sono rinforzate. Il Napoli è più debole di un anno fa e lo choc di Champions League sarà condizionante, il Milan è un incognita totale (a partire dall'allenatore) e la Fiorentina rappresenta una scommessa legata alla salute dei suoi big.
Tanto equilibrio potrà fare solo del bene a uno spettacolo che si annuncia di second'ordine. Avremo stadi vuoti e ancora fatiscenti. Manca tuttora la legge sugli impianti e non è tra le priorità di questo Governo. La sensazione, però, è che non sia nemmeno una priorità di quell'altro governo che ha a capo "mister-banana" e Lotito come reggente e uomo forte. Il confine tra chi ha vinto e chi ha perso è chiaramente delineato. Si è trattato di una "battaglia del grano" lunga e sanguinosa, iniziata con la spartizione dei diritti tv 2015-2018 (pareggio buono per Mediaset e meno per Sky), proseguita con la guerra per la Figc (vinta dal partito-Mediaset contro il partito-Sky) e che proseguirà con l'ardua impresa di Tavecchio e soci di andare a battere cassa da Coni e Governo per vedersi riconoscere una parte dei soldi che l'industria-calcio versa nelle casse dello Stato: un miliardo in tasse dirette, più l'indotto di scommesse e attività correlate.
Non sarà semplice e, anzi, l'aria che tira è quella di punire il pallone con altri tagli che andranno però a incidere sulla propaganda e sull'attività giovanile. Non sulle tasche dei sempre ricchi giocatori e tecnici che continuano a vivere una spanna sopra il cielo. La vicenda dell'ingaggio di Conte che ha scandalizzato tanti è stata paradossale: ottima operazione della Figc comunicata malissimo e che renderà alle casse della Federazione un buon dividendo in termini di appeal commerciale. La cosa che conta di più, visto che siamo alla vigilia di un biennio di quasi-amichevoli che ci porteranno, con lo scivolo di un girone facile facile, fino all'Europeo del 2016, al quale l'Italia andrà con la stessa ossatura della nazionale di Prandelli. Conte o no, il problema è che oggi nei club di fascia medio-alta della serie A giocano titolari al massimo un'ottantina di calciatori italiani e di questi non più di 30-35 sono convocabili in azzurro. Guarda caso il gruppone allargato coltivato da Prandelli fino alla partenza per Mangaratiba...
Chiusura dedicata alla parola magica: "riforme". Come nel resto del Paese, anche il calcio promette di dotarsi delle sue. La partenza è stata sconfortante: passo indietro sulla discriminazione territoriale e pugno duro sulla violenza (l'ennesimo). Il resto del programma parla di revisione delle norme sul professionismo e, soprattutto, di riduzione dei club. Il sogno è una serie A a 18 squadre, una B a 20 e solo 40 società nella Lega Pro. Sulla carta un'ottima idea. Nella realtà la stagione che parte ha scelto la 22° di serie B affidandosi a tribunali, avvocati e carte bollate. Benvenuti in Italia, Anno Uno. E buon divertimento.

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