Ormai é ufficiale Mourinho non é piú l'allenatore dell'Inter !
Ecco cosa si porterà via dall'Italia...
Quell’espressione da attore consumato, quell’enorme – e teatrale – punto di domanda che gli si leggeva sul volto quando faceva finta di non capire, quelle risposte puntuali, immediate, ficcanti, spontanee ma mai banali che regalava anche davanti a domande scomode, che però non lo hanno mai colto di sorpresa. Un modo di comunicare dirompente per chi – come noi – era abituato a conferenze stampa soporifere, inni alla banalità e della ridondanza. Continueremo a sentire “Sapevamo che sarebbe stata dura, loro sono una squadra molto forte, il campionato è lungo e ce la metteremo tutta”.
PROFESSIONISMO ESTREMO: L’attenzione ai particolari, l’estrema dedizione alla causa interista, la cultura del lavoro spinta all’ennesima potenza. La Pinetina non è più stata la stessa dopo il suo arrivo: nuovi uffici, nuovi campi, nuove regole per le interviste, attenzione maniacale ai particolari, alle esigenze dei suoi giocatori, al bene comune della squadra. Uno staff ampio e preparato, in grado di studiare ogni cosa, pregi e difetti degli avversari, problemi e soluzioni per le risorse a disposizione. “Il calcio è fatto di dettagli”, amava sempre rispondere Mou, ma se li curi tutti vinci sempre, aggiungiamo noi. Dovremo riabituarci agli alibi, a quelli che “però gli infortuni…”, o quelli che “è mancato un pizzico di fortuna, che nel calcio serve sempre…”.
Per i giocatori, lui, era semplicemente un papà. Non sempre paziente, non sempre morbido, ma neanche il sergente di ferro che è stato dipinto. L’abbraccio dei suoi ragazzi sul prato di Madrid – finanche quello del ribelle Balotelli - lo ha testimoniato. Gli occhi lucidi di Materazzi prima di entrare in campo, le paroline dolci di Zanetti sussurrate all’orecchio, l’abbraccio della squadra a fine partita, incluso di riserve e figuranti. Nessuno come lui, riesce a farsi amare dai suoi ragazzi, soprattutto dai campioni, da quelli seri, disposti al sacrificio, coscienti dell’opportunità incredibile concessa loro dal destino, di lavorare con un allenatore veramente Special, per il quale oltre alla tattica, c’è di più. Un mondo che non si divide in pettorine o birilli.
Quanto sopra, ovviamente, vale anche per i tifosi. Adulato, adorato, glorificato e seguito come una guida spirituale, il “vate” ha difeso il fortino nerazzurro dall’assalto dei media bianco-rossoneri, dalle istituzioni anti-interiste, dagli attacchi del Palazzo. Ha detto quello che i tifosi avevano il bisogno di sentire, ha fatto da scudo alla squadra, ma anche alla società, ha usato la comunicazione ufficiale e partigiana come megafono, ha scelto quando, come e con chi parlare, sfruttando con intelligenza e sagacia il mezzo, con un tempismo degno del miglior direttore di Marketing al Mondo. Il biglietto assegnato al primo della coda di Via Massaua, con il costo devoluto in beneficienza, è solo l’ultimo colpo di genio della lista. Dal tifoso mercificato, a parte della famiglia: un salto culturale enorme.
Che cosa mi rende special? Prego molto”. Aveva risposto così, con la solita ironia al collega inglese che nell’ultima conferenza stampa alla Pinetina gli aveva chiesto quali fossero i meriti che si riconosceva. “Dovunque vado – ha continuato seriamente – io cerco di creare un ambiente che va tutto dalla stessa parte. Tutti sono importanti, dal cuoco fino ai giocatori, tutti si devono sentire parte del progetto, perché tutti sono protagonisti e fondamentali per la vittoria finale”.
Rimpiangeremo le sostituzioni esagerate, quelle “o la va o la spacca”, Samuel centravanti contro il Siena, le 10 punte di Kiev e chi più ne ha più ne metta. A volte anche eccessive, irrazionali, inutili. Tatticamente, forse, non è Special, ma ogni gesto ha una sua logica, un significato emotivo ed emozionale. Come la formazione di Londra: “Uscite e giocatevela”, era il sottotitolo implicito sotto il ciclostilato consegnato in tribuna stampa allo Stamford Bridge. Sneijder, Eto’o, Milito e Pandev, tutti insieme appassionatamente contro il Chelsea prima, e il Barcellona poi. E se i laterali arretrano, se in Catalogna Eto’o e Pandev fanno i terzini, per l’allenatore non può essere una vergogna, ma deve essere un vanto. “Io gioco dove dice l’allenatore e sono disposto a tutto per il bene della squadra” non come scioglilingua preconfezionato, ma come regola aurea. Riabituiamoci a “Mi adatto, ma non è il mio ruolo” o alle sostituzioni misurate, quelle per cui “L’equilibrio della squadra è più importante” o “Un punto è meglio di niente”. Quelle degli allenatori farmacisti, per intenderci. Quelli che si dimenticano che, a volte, una partita si vince anche con il cuore.
Ha portato spettacolo? No. Ha inventato qualcosa che non avessimo già visto? Neanche. Ha semplicemente applicato alla grande dettami del passato, ad un certo punto ha addirittura copiato il 4-2-fantasia di Leonardo e da allora l’Inter ha semplicemente preso il volo. Solo che lui sulle fasce aveva Eto’o e Snaijder che in fase di non possesso palla facevano i terzini, mentre Ronie e Pato stavano su a prendere il sole. E’ questa la differenza. “Il Barça ha fatto il record di possesso palla – ha risposto in conferenza stampa dopo la gara del Camp Nou – ma noi la palla non la volevamo, gliel’abbiamo regalata. Abbiamo detto loro: “Eccola, portatevela anche a casa se volete”. Il Barcellona pressava alto, se l’avessimo persa troppo bassi, prima o poi ci avrebbero punito, così la buttavamo lontano e li costringevamo a ricominciare da capo. E continuavano a sbattere contro un muro…”. Quando parlavamo di attenzione ai particolari…
TEATRINI PORTOGHESI: Mancheranno a noi giornalisti – ma forse anche a tutti i tifosi – i botta e risposta pre e post-partita. Le “coppe di Toscana”, i “calamari di Juve-Lazio”, gli “Zeru Tituli”, il “neurone di Balotelli” e l’“Io non sono pirla”. Un po’ di sale, quell’ironia tutta mourinhana che insaporiva la vigilia. Duelli rusticani che, a volte, trascendevano – e questa era forse l’unica pecca – ma che se non altro toglievano una patina di ipocrisia al nostro calcio, un mondo in cui davanti ai microfoni so’ tutti fratelli, ma dietro girano tutti con le mutande di ghisa.
STILE VINCENTE – “L’Inter vincerà anche senza di me”, aveva detto prima della finale di Madrid, cercando già di rincuorare i tifosi nerazzurri. Intanto, lascia al suo successore un’eredità pesantissima, un’impresa ardua, quasi impossibile. E’ vero, ha creato tutte le condizioni perché la squadra possa continuare a farlo – e con lui ancora in panchina non ne avremmo avuto il minimo dubbio – ma in pochi (forse nessuno) hanno la sua personalità, la sua determinazione, il suo killer instict. Devono averlo capito anche molti giocatori dell’Inter che quella di Madrid era l’occasione della vita, anche per questo hanno dato tutto per sfruttarla. Ovviamente speriamo di sbagliarci, ma la sensazione è che con lui se ne vada anche lo spirito vincente, quella bramosia del successo che lo guida, quell’eterna ambizione che, oggi, gli sta facendo dire addio alla sua casa. Al suo successore il compito di smentirci.
PRURITI DI POTERE: “Doveva venire un portoghese a parlare male del nostro calcio e del nostro paese?”, il classico commento ascoltato in questi 24 mesi ogni qual volta Mourinho facesse una considerazione – spesso calzante – sulle nostre abitudini. Probabilmente sì, visto che da soli non ne siamo capaci o non ne abbiamo il coraggio. Spesso enfatizzate, spesso esagerate e interessate, le sue critiche si scagliavano contro un atteggiamento pruriginoso, gelatinoso, mai trasparente fino in fondo, un modo tutto italiano di gestire i rapporti, fatto di raccomandazioni, di abuso di potere, di appoggi importanti, di amici potenti. In Portogallo è diverso? Boh, forse no, ma cosa cambia? L’Italia è così, il calcio italiano è questo, negarlo perché ce lo racconta uno straniero è atto di superbia che sconfina nel razzismo. Ce lo ha detto uno che è abbastanza obiettivo per vederlo, che non è cresciuto in questa cultura della scorciatoia – o della prostituzione intellettuale se volete - e per questo non ne è intriso.
Entao...
Adeus rapaz,continuação de boa sorte
( excepto contra o Inter !!! )
2 commenti:
Gli vorrò sempre bene, ma spero abbia la correttezza di comportarsi coi nostri giocatori come fece con quelli del Chelsea. Ricordate la prima conferenza stampa: "Lampard? E' un giocatore del Chelsea" "Drogba? E' un giocatore del Chelsea". Speriamo faccia lo stesso con Maicon, Milito e Sneijder. Ma qui entra in gioco la differenza di statura dei presidenti: Moratti un Signore, Perez un maiale, un cavron...
Cazzo che articolo, spettacolare! C'è scritto tutto di mourinho! Per me resterà sempre l'allenatore migliore che sia mai venuto all'Inter e in Italia. Un vincente vero! Grazie Mou!
PS: ho pubblicato le foto di Sabato nel mio blog :D
Un saluto, Vincenzo.
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