Sta calando il sipario sulla carriera di Alvaro Recoba.
Uno che, dicono in tanti, se avesse avuto voglia di allenarsi (e non solo di
giocare) avrebbe potuto vincere un Pallone d’Oro. La parola fine sarà messa
giovedì nero su bianco. Due giorni ancora e poi via ai ricordi. Come la prima
volta. San Siro accoglieva Ronaldo e aspettava i primi passi con l’Inter del
Fenomeno. A Milano, grazie alla spesa di Massimo Moratti (51 miliardi di lire,
cifra impensabile nella seconda metà degli anni ’90), si respirava aria di
sogni inattesi e speranzosi. E invece, in quel pomeriggio contro il Brescia
neopromosso (il 31 agosto 1997), l’Italia e l’Europa scoprivano Alvaro Recoba,
stessa età del più famoso collega brasiliano.
Arrivato alla Pinetina perché qualche mese prima, a casa
Moratti, era stata recapitata una videocassetta che mostrava le doti tecniche
di un ragazzino del Nacional Montevideo: ancora cicciottello che scartava mezza
squadra avversaria. E allora fu amore a prima vista. Un lampo. Così col
Brescia, sotto di un gol, Recoba ribaltò il match con una doppietta
formidabile: un tiro di sinistro dalla distanza e una punizione pazzesca. Ma
già nel precampionato c’era chi aveva potuto conoscere le sue qualità: in amichevole
contro il Bologna, Ronaldo uscì al minuto 70 ed entrò Recoba: tiro di 40 metri,
traversa.
Massimo Moratti lo ha trattato come un figlio ed è stato, fin da
subito, il suo tifoso numero uno. Lo ha supportato, sopportato e perdonato per
ogni tipo di marachella.
E
lo ha amato.
All’infinito.
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